Difference between revisions of "Agath Than Hagh"

(Created page with "Una notte '''Agath Than Hagh''' sognò un enorme lago di sangue: bollente, interminabile, sotto un cielo rovente e bassissimo, come se l'universo fosse diventato una caverna, un ...")
 
Line 3: Line 3:
 
Agath respirava un'aria che non era più aria -soffocante, incrostata, frustrante: un'afa carnivora, nauseabonda e interminabile. L'unico suono era il bollire del sangue, e il ronzare nelle orecchie di chi si risveglia da uno svenimento. Agath si volse e si accorse che era nudo: non aveva più i panni delicati da sacerdote.
 
Agath respirava un'aria che non era più aria -soffocante, incrostata, frustrante: un'afa carnivora, nauseabonda e interminabile. L'unico suono era il bollire del sangue, e il ronzare nelle orecchie di chi si risveglia da uno svenimento. Agath si volse e si accorse che era nudo: non aveva più i panni delicati da sacerdote.
  
Urlò il nome sua moglie, istintivamente -più per chiamarla a sè e proteggerla che per proteggere sè stesso, del resto lei aveva quindici anni- ma la voce si perse nel vuoto, e niente rispose. Stava per concludere che era in effetti solo, al centro del sangue (sempre che ci fosse un centro: se il lago era, come sembrava, infinito, ogni punto ne era il centro, e la distinzione sarebbe divenuta capziosa), quando, all'orizzonte (dunque c'era un orizzonte) vide una sagoma nera, che distinse solo in quanto ''più nera'' del cielo contro cui si stagliava. Agath strabuzzò gli occhi per quanto gli era possibile, cercando di distinguere qualcosa tra il vapore lontano e il sudore che gli bruciava dentro le palpebre. Sì, c'era una sagoma, c'era un volto, una sorta di maschera, semisommersa nell'oceano. Non poteva valutare le distanze, ma gli sembrava immensa e immensamente lontana, come se fosse la testa di una statua alta come le montagne.
+
Urlò il nome sua moglie, istintivamente -più per chiamarla a sè e proteggerla che per proteggere sè stesso, del resto lei aveva quindici anni- ma la voce si perse nel vuoto, e niente rispose. Stava per concludere che era in effetti solo, al centro del sangue (sempre che ci fosse un centro: se il lago era, come sembrava, infinito, ogni punto ne era il centro, e la distinzione sarebbe divenuta capziosa), quando, all'orizzonte (dunque c'era un orizzonte) vide una sagoma nera, che distinse solo in quanto ''più nera'' del cielo contro cui si stagliava. Agath strabuzzò gli occhi per quanto gli era possibile, cercando di distinguere qualcosa tra il vapore lontano e il sudore che gli bruciava dentro le palpebre. Sì, c'era una sagoma, c'era un volto, una sorta di maschera, semisommersa nell'oceano. Non poteva valutare le distanze, ma gli sembrava immensa e immensamente lontana, come se fosse la testa di una statua, una testa più grande di tutte le montagne.
 +
 
 +
Quel momento il lago vibrò: ed era come essere incollato dentro una pelle di tamburo liquida e rovente, che gli squassava il torace. E qualcosa modulò le vibrazioni dell'immenso lago, come una corda vocale terribile, e Agath riconobbe torcersi nelle sue costole e nel suo sterno le parole dell' {{en|Ahuna Vairya}}, la preghiera che {{en|Ahura Mazda}} intonò prima di creare il mondo:
 +
 
 +
''::athā ahu vairyo athā ratush ashāt chit hachā
 +
  ::vangheush dazdā manangho shyaothananām angheush Mazdāi
 +
  ::khshathremchā ahurāi â yim dregubyo dadat vāstārem  ''

Revision as of 16:55, 23 May 2011

Una notte Agath Than Hagh sognò un enorme lago di sangue: bollente, interminabile, sotto un cielo rovente e bassissimo, come se l'universo fosse diventato una caverna, un utero di pietra lavica. Immerso senza affondare, Agath galleggiava in piedi, misteriosamente sostenuto fino all'altezza del busto.

Agath respirava un'aria che non era più aria -soffocante, incrostata, frustrante: un'afa carnivora, nauseabonda e interminabile. L'unico suono era il bollire del sangue, e il ronzare nelle orecchie di chi si risveglia da uno svenimento. Agath si volse e si accorse che era nudo: non aveva più i panni delicati da sacerdote.

Urlò il nome sua moglie, istintivamente -più per chiamarla a sè e proteggerla che per proteggere sè stesso, del resto lei aveva quindici anni- ma la voce si perse nel vuoto, e niente rispose. Stava per concludere che era in effetti solo, al centro del sangue (sempre che ci fosse un centro: se il lago era, come sembrava, infinito, ogni punto ne era il centro, e la distinzione sarebbe divenuta capziosa), quando, all'orizzonte (dunque c'era un orizzonte) vide una sagoma nera, che distinse solo in quanto più nera del cielo contro cui si stagliava. Agath strabuzzò gli occhi per quanto gli era possibile, cercando di distinguere qualcosa tra il vapore lontano e il sudore che gli bruciava dentro le palpebre. Sì, c'era una sagoma, c'era un volto, una sorta di maschera, semisommersa nell'oceano. Non poteva valutare le distanze, ma gli sembrava immensa e immensamente lontana, come se fosse la testa di una statua, una testa più grande di tutte le montagne.

Quel momento il lago vibrò: ed era come essere incollato dentro una pelle di tamburo liquida e rovente, che gli squassava il torace. E qualcosa modulò le vibrazioni dell'immenso lago, come una corda vocale terribile, e Agath riconobbe torcersi nelle sue costole e nel suo sterno le parole dell' Ahuna Vairya , la preghiera che Ahura Mazda intonò prima di creare il mondo:

::athā ahu vairyo athā ratush ashāt chit hachā

 ::vangheush dazdā manangho shyaothananām angheush Mazdāi
 ::khshathremchā ahurāi â yim dregubyo dadat vāstārem